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domenica 31 ottobre 2010

IL POTERE TRASFORMATIVO DEL TEATRO

Stralci della tesi di Loretta Inglese per il Master di ArtiTerapie, nostra tirocinante nel 2009-2010. Osservadoci parla di noi, parla dei pilastri del teatro del '900 e parla di voi...Buona lettura


IL POTERE TRASFORMATIVO DEL TEATRO  
ESPERIENZA DI TIROCINIO PRESSO GIRASOLITEATRO  - ASS. CULT. ALLEGRAMENTE -    di Loretta Inglese

Trovarmi di fronte ad un gruppo di 12 persone sconosciute, con storie di vita e contesti diversi, in una sala piena di sedie ed uno spazio minimo per muoversi è stata per me una sfida che ho accettato con piacere. In quest’itinerario semplice e accessibile arriva indistintamente per tutti, prima o poi, la possibilità di un movimento che appartiene a ciascuno: un movimento che riflette il piacere, il superamento dell’imbarazzo, il desiderio della scoperta, e lentamente affiora il percorso emotivo di ciascuno dei partecipanti che si sono permessi di andare al di là degli stereotipi legati al movimento e hanno potuto fare esperienza di una comunicazione vera, profonda.
Al primo incontro si fa un cerchio, con le persone che vengono al laboratorio. C’è chi viene perché sa poco di teatro e vorrebbe capirne di più; chi viene per pura curiosità; c’è chi viene perché vuole essere un attore; c’è chi viene per avere strumenti in più per affrontare il proprio disagio.  […]
La trasformazione è dunque il filo conduttore del mio intervento.
Confido, infatti, molto nel potere trasformativo del Teatro. La teatroterapia, d’altronde, non è altro che un’attività teatrale del tutto tradizionale.
Il beneficio di un accesso alla capacità d’espressione e di pensiero attraverso l’arte del teatro non vuol significare, dunque, in questo contesto, che tale capacità acquisisca anche il potere di promuovere un'autentica "risoluzione di problemi"? Questi percorsi non vengono mai presentati come sostitutivi di una relazione terapeutica, bensì come integrativi rispetto a questa, dunque non realmente appartenenti allo specifico settore delle terapie espressive. Altrimenti si ricadrebbe nell'idea semplicistica secondo cui sarebbe sufficiente "esprimersi" e "creare" per ottenere,  una risoluzione dei problemi personali.
[...] il tema della trasformazione è stato affrontato attraverso una delle attività più amate ed importanti: l’attività ludica. L’attività ludica crea quello spazio transizionale in cui la simulazione prende il posto della realtà dando origine ad un teatro in cui tutto è possibile: l’ambiente protetto del gioco teatrale può dar voce e forma ad emozioni che nella realtà sarebbero intrappolate dalla paura e dai sensi di colpa. L’oggetto che stimola e crea il gioco è ‘facciamo finta che’ e permette azioni simboliche dal grande potere catartico. 

Con questa relazione cercherò di affrontare alcune questioni di particolare importanza, utilizzando l’esperienza pluriennale di Helga Dentale e Fabio Filippi dell’Associazione Culturale “Allegramente” di Roma che comprende laboratori di teatro a fini educativi e preventivi sia con bambini, sia con adolescenti che con persone adulte:
1)      esiste uno specifico della prevenzione di adolescenti che la differenzi dall’approccio in età infantile e da quella in età adulta?
2)      Che cosa caratterizza il lavoro educativo-preventivo con l’adolescente?
3)      Quali sono i contributi specifici del teatro al lavoro educativo-preventivo?
4)      Possiamo pensare alla terapeuticità di un laboratorio di teatro pur senza ricorrere alla forma precisa di un intervento teatroterapico?

Possiamo partire dalla constatazione che i ragazzi d’oggi, seguendo nuovi percorsi, cercano di raggiungere le mete di sempre: l’identità sessuale, l’organizzazione dell’io, la realizzazione delle proprie potenzialità, il lavoro, l’amicizia, l’amore sessuato. […]
Inoltre a livello culturale sono scomparsi i riti sociali che seppur omogeneizzanti negli effetti offrivano anche un’appartenenza e un’esperienza di passaggio significativa tra uno status ed un altro, mentre ora l’adolescente è sempre più solo nell’affrontare le stimolazioni del mondo esterno, un mondo capace di indurre attese sempre più idealizzate, ma con meno reali opportunità di gratificazioni e successo. Come se non bastasse è pressochè scomparso l’adulto di riferimento, inteso come l’insegnante, il maestro, la persona grande; mentre trovano posto centinaia di episodi d’incontro, talvolta con oggetti discordanti, disseminati in un arco di tempo che si dilata ormai in oltre 10 anni (l’Organizzazione Mondiale Sanità ha fissato per l’adolescenza la fascia d’età 14-23 anni).
 […] Perché dunque spronare un adolescente a fare Teatro? Questa attività non va vista come riparazione della condizione di precarietà, ma come occasione per il soggetto di sperimentare in modo controllato le emozioni avversative e le possa padroneggiare.

Il mio punto di vista non quello né di un’arteterapista, né quello di una psicologa ma solo quello di una tirocinante interessata a leggere i segni del cambiamento che la pratica educativa e preventiva del teatro determina nell’individuo e cogliere le capacità di educare e rieducare e di intuire le sue potenzialità di sviluppo e di benessere nel rispetto della globalità del soggetto in età evolutiva.
Riporterò dunque impressioni e pensieri suscitati dal gettare lo sguardo’ durante le ore di laboratorio con i GirasoliTeatro, attratta alle volte dalla curiosità, altre volte dalla nube di emozioni che progressivamente ci coinvolge tutti.
Alla fine rimarrà aperta certamente una questione fondamentale, quella della valutazione dei risultati e dell’efficacia – ovvero l’efficienza terapeutica delle tecniche utilizzate in un contesto educativo e preventivo. Del resto la mia risposta non pretende di dare una validità scientifica alle strategie d’intervento adottate di volta in volta, ma solo di evidenziare alcune specificità che la rendono insostituibile. 
Il supporto educativo e preventivo della pratica teatrale mira da un lato al miglioramento delle capacità funzionali e dall’altro al sostegno dell’ abilità di mantenere un certo benessere emotivo. Indipendentemente dal punto osservativo dal quale ci poniamo ad osservare quanto accade in un laboratorio di teatro, credo che dobbiamo tutti concordare con quanto afferma Guidano a proposito della psicoterapia: ”è possibile identificare – nel nostro lavoro - due livelli di modificazione terapeutica: un cambiamento superficiale ed un cambiamento profondo. Un cambiamento superficiale consiste in una riorganizzazione dell’attitudine del soggetto verso la realtà, che in molti casi consente un miglioramento reale, anche se limitato, nell’adattamento all’ambiente, e una riduzione dello stress emotivo. Un cambiamento profondo implica invece una costante capacità di percepire in modo più articolato ed esaustivo tutta una serie di aspetti del sé che, sebbene estremamente pregnanti sul piano emotivo, erano stati ampiamente trascurati…[1].
I laboratori di ‘Girasoli Teatro, dunque, non producono diagnosi, né interpretazioni psicologiche ma sono finalizzati a favorire ed accrescere nuove visioni di sé. Gli effetti degli incontri continuano a produrre risultati sul singolo anche dopo l’incontro stesso, in quanto gli stimoli ricevuti entrano a far parte di un‘esperienza profonda che la persona può integrare nella vita di tutti i giorni.
Ma cosa succede nel momento magico in cui qualcuno da vita ad un personaggio e cerca di entrare in un altro universo emotivo?
Il "sistema" ideato da Konstantin Stanislavskij (1863-1938), un metodo che ha esercitato una grossa influenza sulle esperienze teatrali delle avanguardie, comporta un vero e proprio percorso, che coinvolge il corpo, la mente e l’etica stessa dell’attore. L’idea centrale è che si giunge a plasmare la mente, agendo sull’universo psichico dell’attore, così da risvegliare in lui una dimensione creativa, che darà nuovo spessore anche ai gesti e agli atteggiamenti del corpo. Questo si può realizzare grazie alla capacità dell’attore di creare con le immagini della fantasia, immagini che, se da un lato sono ispirate al testo e quindi suggerite dall’autore, dall’altro si nutrono di un intenso lavoro personale fatto dall’attore stesso. "Continuate a concentrare l’attenzione sulle immagini che sono davanti agli occhi della vostra mente", dice Stanislavskij a proposito di come ci si prepara a recitare una scena particolare. "Formate i pensieri e le immagini della fantasia secondo il testo e le circostanze fornite dall’autore e dal regista. Ma siccome li avete fatti nascere entrambi – pensieri e immagini – dal vostro cuore, le parole e la verità che voi mettete in queste parole, proprio come se fossero la vostra vita, si fonderanno nel cerchio della vostra immaginazione e sulla scena"[2].
Si tratta dunque di attivare una dimensione creativa della memoria. Per riattivare queste forze creative bisogna che l’attore raggiunga una disciplina tale da porre ordine nella sua mente; questo significa riuscire a ricomporre i brandelli dei pensieri e delle emozioni, così da ricondurli entro contorni vivi e precisi, così da costruire immagini che si collochino in uno spazio interiore ordinato (quello che Stanislavskij chiama il "circolo creativo").
La psicologia teatrale identifica i processi d’individuazione dell’attore in fase di rappresentazione, per meglio comprendere il mistero della personalità e delle relazioni tra mente e corpo.
Per Jung noi non dobbiamo sbarazzarci di una nevrosi ma fare esperienza di essa, esserle riconoscente in quanto ci permette di apprendere chi siamo in realtà: essa ci guarisce, non siamo noi a guarirla.
Attraverso il teatro la persona frantuma la propria maschera, per liberare il linguaggio del corpo ed improvvisare con creatività più personaggi interpretando una nuova identità.
Tutta la ricerca teatrale nel settore delle terapie espressive, si ispira ai grandi maestri del ‘900: Mejerchol’d, Stanislavskij e Grotowski, che hanno tramandato la tecnica per arrivare al sé.
Mejerchol’d inventò esercizi specifici per trovare l’unità psicofisica e fondava il suo lavoro sulla formazione esteriore. Stanislanskij rivoluzionò il teatro del novecento e pose come oggetto centrale la verità in scena, ricorrendo al ricordo ed alle azioni fisiche; al centro delle rappresentazioni c’è l’attore che prova a vivere e non a rappresentare il proprio personaggio. Con Grotowski inizia il “Teatro laboratorio” che risente della tecnica psicoanalitica delle associazioni libere.
Grotowski applica al teatro il training autogeno, gli esercizi plastici di “Delserte” e l’Hatha Yoga e sviluppa la tecnica dell’improvvisazione supportata dal training fisico che serve ad eliminare i blocchi muscolari che impediscono la reazione libera e creativa; i suoi esercizi vengono integrati dal lavoro sulla voce e sul respiro.
Per i grandi maestri quali Grotowski ed Eugenio Barba, il teatro è un mezzo per l’esplorazione di se stessi; attraverso tecniche psicofisiche porta ad un lavoro di scavo interiore; per Barba l’attore usa il personaggio per raggiungere gli strati nascosti della sua personalità e disfarsi da quanto più lo ferisce. 
Il teatro, inserito nel contesto più ampio delle Arti-Terapie a fine educativo e preventivo, rappresenta un mezzo di comunicazione con l’inconscio ed un modo di  fare in maniera efficace psicoterapia, […]
Le persone in genere non hanno il controllo sul proprio corpo. Con il teatro, dunque, attraverso il movimento, la presenza scenica, la voce, si aiuta la persona a prendersi cura di sé e ad avere più controllo del proprio corpo. Mettere una persona in contatto col proprio corpo significa aumentare l’identità corporea e rafforzare il proprio ‘IO’. Il teatro, dunque, è un percorso  conoscitivo ed evolutivo per capire la poliedricità della personalità. Il testo non è il teatro, è solamente un elemento del teatro.
Durante i laboratori condotti da Helga Dentale e Fabio Filippi, ad esempio, molti esercizi sono dedicati a questo.
Nell’azione fisica ed emotiva, attraverso il processo dell’improvvisazione, non c’è manipolazione, né finzione, non c’è artificiosità. Il teatro delle passioni artificiali è abolito per un processo di creazioni libere.
Nella fase dell’improvvisazione liberare la creatività dell’attore ha libero campo. […] Nel teatro, l’attore esplora la mancata unità con se stesso attraverso il lavoro su mente-corpo-azione.
La questione della verità scenica è stata sollevata da Stanislavskij, ma è Grotowski che, attraverso una ricerca complessa sulle azioni vocali e corporee, giunge alla definizione dell’azione scenica come la qualità pura del vero Sé. Sin dalle origini la ricerca di Grotowski, regista polacco, ruota intorno a Stanislavskij che, nei primissimi anni del Novecento, cerca la via della realtà scenica attraverso uno scavo nella memoria emotiva dell’attore. Ma quello che più interessa inizialmente al regista polacco sono le ultime definizioni del "lavoro dell’attore su se stesso". Dunque l’analisi delle 'azioni fisiche', per cui l’interprete non deve tendere a rievocare dentro di sé un’emozione allo stato puro, ma capire quale effetto fisico ha l’emotività e come il moto interiore si trascrive nel gesto e nell’atteggiamento, tentando di ridefinire il movimento fisico generato dall’interno.
Ma se in Stanislawskij tutto il procedimento era finalizzato ad una comunicazione indirizzata verso lo spettatore e realizzata attraverso un personaggio, in Grotowski la ricerca si sposta sulla non necessità di un confronto esterno per dedicare la massima importanza al confronto interno senza un supplementare elemento di finzione. Così il procedimento non può che compiere una traiettoria all’inverso che s’incide nella coscienza dell’attore. Grotowski non ha lasciato un metodo come fu per Stanislavskij, ma ha lasciato un percorso di ricerca, un procedimento.
Già Stanislavskij si era reso conto di quanto fosse difficile evocare nell’attore i sentimenti necessari per un’interpretazione autentica del personaggio a partire dall’immaginazione e dalla memoria emotiva, approccio che caratterizzò una prima fase del suo lavoro pedagogico; tanto che in una seconda fase egli puntò invece sulle azioni fisiche, come vie per giungere al sentimento

In realtà se noi partiamo dall’assunto che esista una precisa connessione fra arte e salute, cioè tutte le volte che viene data la possibilità di esprimersi creativamente un dato soggetto riceve “un’iniezione di benessere”, l’approccio terapeutico per mezzo del teatro, non può non partire che dalla riconquista del corpo attraverso un programma che preveda la riappropriazione del senso del piacere, il che si connette ovviamente ad un innalzamento della qualità della vita dei soggetti in questione.
Il nostro corpo lancia dei suoni, dal battito cardiaco al respiro, e la voce diviene il naturale prolungamento del corpo nello spazio.
Nei suoi contenuti il laboratorio è, dunque, finalizzato a favorire:
a)      il lavoro sulla consapevolezza dell’unità corpo, nelle sue diverse parti e nel suo insieme come “tutto in movimento” (lavoro sulle posture, spazio, tempo, peso ecc);
b)     la creazione di uno spazio protetto e altro, nel quale i ragazzi riconoscano, “il loro spazio” per la libera espressione di sé, sapendo che in Teatro tutto o quasi, è permesso;
c)      proposte d’improvvisazioni, che abbiano al centro anche rappresentazioni di momenti di vita, fantasie, ricordi, desideri, dirette a favoriscono la libera espressione creativa, mediante un approccio ludico e liberatorio, e la spontaneità dei comportamenti.

Girasoli Teatroè dunque, lo spazio del “gioco” e della ricerca pura dove disimparare gli schemi rigidi del piano fisico e mentale e riconoscere limiti e potenzialità espressive e comunicative, per andare alla ricerca di “ciò che già c’è”, per imparare e disimparare costantemente, procedendo lungo una linea di spoliazione ancor prima che di acquisizione, alla ricerca di un modo sempre autentico’ di essere e di esprimersi.
Il fine del laboratorio risulta, quindi, essere il recupero del proprio centro fisico e psichico che passa inevitabilmente attraverso un meccanismo di eliminazione di ciò che è superfluo, di ciò che è schema, “cliché”. Imparare a respirare bene e con coscienza, diviene, allora, fondamentale, tanto quanto padroneggiare la parola, i ritmi e la dizione! Poi, viene la capacità di ascoltare l'altro, necessaria attitudine per lavorare in gruppo e rapportarsi al pubblico e l’intuito, ossia il recupero dell’immediatezza coscienziale.
Solo dopo viene la tecnica. Ci sono infatti regole, moduli che si devono imparare: il gesto deve diventare ampio, essenziale; la voce, potente; la parola, pulita; la percezione dello spazio, chiarissima; il ritmo interno, perfetto; ma, tutto ciò, lo si acquisisce se si diventa leggeri, consapevoli, in grado di riplasmare, ad ogni istante, la propria sfera psicofisica, senza perdere il proprio centro.
Per fare ciò è necessario giocare con la fantasia creativa abbandonandosi di volta in volta allo svolgersi degli eventi, attingendo alla propria memoria emotiva. Il passaggio in questo caso di solito avviene spontaneamente. Ricostruendo una data situazione possiamo ritrovare un sentimento o uno stato d’animo che ci appartiene. Nel rispondere alla domanda: “come agirei se mi trovassi in questa situazione?” bisogna attingere da sé stessi e dalle proprie caratteristiche personali, aprire la propria anima, “sentirsi”, prima nei confronti di sé stesso poi nei confronti degli altri; si sperimenta così una base interna attraverso l’analisi, l’immaginazione, la motivazione.
Nel Teatro non si opera per processi imitativi e meccanici, che si muovono solo nell’ambito dell’esteriorità, ma si cerca di spingersi oltre attraverso la simulazione a vivere situazioni immaginarie, a trasformare l’immagine in azione.
Il lavoro sul movimento aiuta a raggiungere una relazione più precisa con gli altri e con il mondo esterno. L’ascolto e l’osservazione associata alla traduzione delle forme e dei significati del movimento, sono un canale determinato in cui si svolge la comunicazione fra i soggetti. Si pone in evidenza il tempo dell’individuo, che è diverso per ogni soggetto e che va rispettato e la qualita’ della relazione che non può prescindere da una completa accettazione dell’altro e da un approccio empatico.
In Teatro si lavora a partire da quello che uno può dare in quel preciso momento: a partire dalle proprie difficoltà, dai movimenti stereotipati, dalle reiterazioni a livello verbale.
Eugenio Barba, massimo esponente dello studio del pre-espressivo, sostiene che sulla scena l’attore rivela se stesso tanto da non possedere più neppure un personaggio; egli porta in scena il “dramma spirituale” lasciando ad ogni individuo, che sia attore o spettatore, la libertà di cogliere ciò che è in grado di cogliere. Ciò pone in evidenza due aspetti importanti: il primo è proprio la relatività del ruolo in senso stretto, in quanto il ruolo è solo un mezzo attraverso cui raggiungere gli strati più profondi della propria personalità. Un altro aspetto che va sottolineato quando si parla di teatro è l’accento posto sul processo teatrale, che si attiva nel momento in cui un gruppo di persone si unisce per iniziare questo tipo di attività; un processo come percorso in continua evoluzione che assurge ad una sorta di “transizione”, di cambiamento, evoluzione del lavoro che non è mai concluso, in quanto le persone stesse non finiscono mai di comunicare, di esprimere se stesse ed arricchirsi di nuove e significative esperienze. Se consideriamo il teatro come un sistema complesso, dinamico, autorganizzantesi, all’interno del quale le relazioni fra gli elementi sono più importanti della natura degli elementi stessi, potremmo concepire la transizione come un momento del processo attoriale, non conclusivo ma di passaggio, che nasce dall’esigenza del gruppo di cambiare e non una tappa obbligata finalizzata a mostrare agli altri (gli spettatori) il proprio prodotto.
L'animazione drammatica, pur essendo gioco, richiede anche disciplina, attenzione, collaborazione, responsabilizzazione: qui sta il suo valore. L’obiettivo non può limitarsi a dare all’allievo i principi di un estetica teatrale nei confronti di un prodotto già codificato, ma deve far vivere dall'interno l'atto creativo.
L’educatore teatrale, nel nostro caso Helga e Fabio, rendono possibile questo "viaggio" facendo superare i blocchi psicologici, colmando le lacune esperienziali, facilitando la presa di coscienza delle possibilità espressive del corpo e della voce, stimolando ed ordinando le capacità globali dell'individuo ad esprimersi; per fare ciò occorrerà attingere a molte tecniche, non solo quelle strettamente teatrali. Occorre, insomma, seguire un percorso che miri prima alla presa di coscienza del proprio corpo e dell'ambiente e quindi del rapporto con gli altri. Creare una situazione in cui l'educatore, rinunciando completamene al ruolo autoritario, conservi un ruolo di guida tecnica, di facilitatore del momento espressivo, tenendo presente che l'allievo apprende meglio ciò che sperimenta da solo. L'acquisizione di sicurezza nell’esprimersi senza essere giudicato, stimola la creatività generale, rimuove i blocchi, cambia l'ottica di visione di tutte le cose.
Il lavoro parte dal presupposto che, all’interno di ogni individuo, più o meno sedimentate, esistono forti capacità espressive.
Quindi, ancor prima di fornire informazioni, cominciamo a renderci conto del materiale esistente ed affiorante e soprattutto facciamo in modo che se ne rendano conto gli allievi. Ognuno di noi comunica, anche in modo involontario, attraverso il proprio corpo e la propria voce, amplificatori differenti della mente, che a sua volta è da essi condizionata.
Il primo passo è, dare fiducia nei mezzi espressivi e, all'interno della dimensione collettiva, valorizzare la dimensione individuale. Tanto più la dinamica del gruppo è positiva, tanto più il singolo individuo sarà facilitato e potrà compensare situazioni repressive ed uniformanti che possono essere vissute all'interno del gruppo sociale.
E' necessario che gli allievi, progressivamente, prendano coscienza della possibilità di produrre cultura e non solamente di plasmarsi all'interno di contenitori culturali.
Le tecniche di drammatizzazione forniscono all'individuo strumenti di crescita personale, tanto più importanti se si pensa alle pressioni costanti cui siamo esposti dai mass-media e dalla società.
E' evidente, quindi, l'urgenza di attrezzare gli allievi di capacità critiche e selettive e sviluppare l'abitudine verso un'osservazione infine meditata. La realtà concreta e "manuale" del teatro restituisce un contatto reale con luoghi, persone e cose, che oggi è molto facile da perdere; questo complesso gioco può portare i fruitori a riflettere il mondo che li circonda facendone sempre più degli individui consapevoli.



[1] Guidano, La complessità del sé, Bollati Boringhieri, Torino, 1988, pag. 249.
[2] L’attore creativo. Conversazioni al Teatro Bol’Soj, 1918-1922.

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