ATTORI VIAGGIANTI NEL MACBETH..
Il seminario è cominciato. Abbiamo svolto i primi due incontri. Incontri densi, ricchi, pieni di concentrazione, condivisione, scambio, energia. Il testo è meravigliosamente complesso ed articolato. Shakespeare ci ha regalato una tragedia d'amore e potere visionaria e terrificante, sublime e agghiacciante allo stesso tempo. La più breve delle sue tragedie, che concentra nelle battute, nei dialoghi e nel linguaggio un terrore ed un sentimento di angoscia ed esaltazione che lasciano senza fiato. Una tragedia che ci consegna due personaggi tanto complessi ed articolati quanto diabolicamente affascinanti e carismatici. Certo, sicuramente non è facile confrontarsi con loro.
Lo stanno facendo, secondo me molto bene, gli alievi-attori del seminario. Sono lì, nonostante il caldo e la difficoltà del testo, concentrati e in ascolto attivo per più di due ore e trenta minuti. Si lanciano nel training e negli esercizi (incantevole da guardare l'ipnosi boliviana in cui gli allievi erano totalmente "dentro", rapiti dall'esercizio, in totale trasporto emotivo), si cimentano con i monologhi e i dialoghi, desiderosi di contattare, toccare, afferrare l'animo e le emozioni di Macbeth e della Lady.
C'è ancora tanto da mettere in campo. Abbiamo ancora tre incontri per proseguire il nostro viaggio di ricerca, scoperta e sperimentazione.
E lascio la parola ad un allievo-attore che ha deciso di commentare passo passo il suo/nostro viaggio espressivo con una sorta di diario. Un racconto diretto e appassionato che ci porta nel seminario con i suoi occhi e le sue emozioni.
Diario di viaggio... di Iacopo Landrini
E, come avevo più o meno anticipato, rieccoci qua.
Alla chiusura del sipario a fine maggio Veronica ed io avevamo già deciso che saremmo tornati sul palcoscenico, ma ad ottobre. Quando abbiamo sentito parlare di seminario estivo ci abbiamo pensato. Quando abbiamo letto del seminario estivo sul Macbeth ci abbiamo più che pensato, ma ancora non abbiamo spiccato il salto. Quando ci siamo resi conto che eravamo entrambi in ferie in questa settimana non c’è stato nemmeno il tempo di pensarci:
Budapest, interno di camera d’albergo
Veronica: “Mi ha scritto Laura, si è iscritta al seminario sul Macbeth…”
Iacopo: “Ah, già, il seminario! Beata lei…”
Veronica: “…”
Iacopo: “…”
Veronica: “Amore…ti ricordi perché non ci siamo iscritti?”
Iacopo: “…”
Veronica: “…”
Iacopo: “Perché lavoravamo durante quella settimana, ma ora…”
Veronica: “Ma ora in quella settimana siamo in ferie…”
Iacopo: “…”
Veronica: “…”
Iacopo: “CAZZO! CHIAMA HELGA! CHIAMA HELGA!”
Siamo saltati sugli ultimi due posti disponibili battaglieri come il Ragionier Ugo Fantozzi che assalta l’autobus sulla tangenziale mentre io, nel primo momento di lucidità ho guardato Veronica negli occhi e gli ho detto più o meno questo:
“Ma ne sei certa? Cioè, ricordi cosa ti ho fatto passare in questi ultimi mesi? Gli esercizi vocali in casa, i miei IO,IO, IO,IO!, la ripetizione continua delle battute di Carmelo Bene (ma là fu colpa tua), e sentimi questa parte, e dammi le battute…”
Hai sorriso ma non hai risposto, il che mi dà da pensare che tu l’abbia realizzato in quel momento che tutto ricominciava da capo.
Primo giorno (11 luglio 2011)
E quindi di nuovo Via Botero, di nuovo il cancello verde gemello di quello del condominio accanto dove mi sono già infilato varie volte, di nuovo quel palcoscenico in un seminterrato e di nuovo Helga e Fabio che ci salutano.
Un seminario di cinque giorni da due ore e mezza ogni sera, un’esperienza completamente diversa dal gruppo di teatro conclusosi a maggio. Ed un testo che, se dovessi visualizzarlo davanti ai miei occhi apparirebbe più o meno come l’Everest: il Macbeth.
Uno dei pochi testi di Shakespeare che conosco abbastanza bene dai tempi in cui mi innamorai della trasposizione cinematografica di Polanski e che ho potuto apprezzare più recentemente nella versione parodica di Terry Pratchett.
Quello che ci aspetta in questa settimana è uno studio sui due principali personaggi dell’opera, Macbeth e Lady Macbeth. E si parte da subito.
Dopo un breve riscaldamento l’unica luce rimasta nella sala è quella di alcune candele disposte per terra mentre quella che filtra dalla porta aperta in cima alle scale è ormai debole.
Fabio ed Helga invitano le ragazze del gruppo a interpretare le streghe del Macbeth.
Istintivamente nella mia mente si profilano i volti delle megere di Polanski, un trionfo di nasi adunchi e facce ferine ma Helga indica alle ragazze di “scegliere la propria strega”.
Ed ecco che le streghe non sono più tre ma una decina, ognuna appartiene all’attrice che la sente propria e come tale utilizza l’unico oggetto a disposizione per la scena, un foulard. Alcune streghe vi si coprono il volto, altre lo lasciano ondeggiare davanti a loro in un gioco di vedo e non vedo, altre ancora vi avvolgono noi che, a turno, ci aggiriamo fra di loro venendone ora sedotti, ora impauriti, ora affascinati.
Ed in quella luce soffusa mi ritrovo ad osservare un occhio dilatato che emerge da un foulard, un volto mezzo nascosto che accolgo con curiosità e timore allo stesso tempo mentre alle mia spalle avverto frusciare un’altra strega il cui foulard mi cingerà un braccio, trascinandomi da lei.
Mi lascio andare e ci credo, credo che quelle attorno a me siano davvero delle creature magiche, delle streghe, ed accetto di esservi sottomesso in balia dei loro incantesimi.
Poi, ancora una volta le rincontro nella brughiera, al mio fianco c’è Banquo e a forza di crederci forse esageriamo: il primo incontro con le streghe ricorda una scena di Jurassic Park ed io e Banquo finiamo spalle al pubblico accerchiati da streghe/velociraptor che ci chiudono ogni via d’uscita, resta solo il poco onorevole salto dal palcoscenico per salvarci la vita.
Ci ricomponiamo e stavolta evitiamo le spalle, il primo incontro con le streghe è il momento della profezia. Sono Glamis, sarò Cawdor e sarò anche re. Non ci credo, e mentre Banquo cerca di carpire dalle tre creature una profezia per se stesso mi ritrovo a domandarmi come tutto questo può accadere.
Ma ci crederò appena più tardi, quando sarò diventato Cawdor e inizierò a chiedermi se davvero mi attende la corona.
Helga e Fabio sviscerano i pensieri del Macbeth a cui sto dando la voce e mi guidano nella sua mente. Cosa sono disposto a fare per la corona? La mia ambizione si nasconde dietro al fatalismo: non sono io che voglio assassinare il mio re, è il destino che guida la mia mano ed io non posso ribellarmi. Sono disposto anche a negare la mia umanità ed il mio libero arbitrio pur di cingermi la testa con l’oro. Non sono io a decidere, ma il potere dell’autoassoluzione non mitiga il delitto a cui mi sto preparando. Posso solo condividerlo con la mia compagna di grandezza.
Lei è la donna che amo, la donna a cui posso confessare l’osceno misfatto che nella mia mente ho già perpetrato, ed il solo balsamo al mio tormento è quello di lasciarmi guidare dalle sue parole e dalla sua volontà che è anche la mia. Perché la mia Lady ed io vogliamo entrambi le stesse cose allo stesso modo, ma lei non si nasconde dietro al paravento del destino. La sua lucidità diverrà la mia forza e, se dannato dovrò essere per avere il potere, non lo sarò da solo.
Fare il gioco del “What if…”, tanto caro ad ogni singola serie televisiva americana sembrerebbe una bestemmia (e forse lo è) riferendosi ad un testo di Shakespeare eppure ci ho provato. Mentre vedevo alternarsi le Lady Macbeth nelle loro invocazioni agli spiriti e nel loro perverso confortare i loro uomini accollandosi la loro metà della colpa, mi sono chiesto se Macbeth, che pure già medita l’omicidio, ne avrebbe avuto il coraggio senza la donna al fianco. L’unica risposta possibile a mio parere è “chissà”, altrimenti rischieremmo davvero di cadere in tutto e per tutto in un’oziosa discussione in cui i se si moltiplicherebbero come conigli. Tuttavia, attraverso quella domanda ho potuto almeno iniziare a rendermi conto della potenza del personaggio di Lady Macbeth. Dove Macbeth tentenna e rifugge da se stesso, la sua controparte femminile non ha alcun timore di pianificare, di concordare e di disporre ogni cosa affinché Re Duncan muoia. Ammiro la freddezza di questa donna, ammiro la sua forza e mi rendo conto che non ho altra scelta che ascoltare le sue parole e fare che la sua determinazione sia anche la mia.
E’ con un augurio a tutte le mie colleghe di seminario che voglio concludere queste breve cronaca della prima lezione, perché a mio parere a loro è toccata la parte più difficile, più dura, quella di essere glaciali e spietate dove noi maschi tituberemmo, ma è anche, sempre a mio modesto parere, la parte più bella e più potente. Non mi resta che promettervi che cercherò di impegnarmi al massimo per tenervi testa, giorno per giorno.
Secondo giorno (12 luglio 2011)
Come anticipato da Helga e Fabio, stasera va di scena il conflitto, e con il conflitto l’opposizione di fronte ad una forza che è destinata a sopraffarci, uno per uno. Se ieri Macbeth e la sua Lady sono stati sfiorati, ora è il momento di immergerci ancora più a fondo nella loro storia, ma soprattutto di andare a vedere sul palcoscenico il rapporto di questa coppia, il loro equilibrio e la loro complicità.Tutti noi, ragazzi e ragazze, siamo messi alla prova da una forza che ci sovrasta già nel riscaldamento attraverso la macchina del vento, un esercizio che ci vede progressivamente piegarci e cedere ad un vento fortissimo il cui rumore ci sovrasta. Provo a resistergli e la sua forza diviene violenza che si abbatte su di me finché non sono costretto a cedere rattrappendomi su me stesso come una roccia, proteggendomi il viso e rimanendo immobile per restare ancorato alla terra, rinunciando a muovere ancora un singolo passo.
Ma è solo l’inizio.
Oggi non sarà il vento a dominarci e a spezzarci ma le nostre stesse compagne di corso ad esercitare su di noi il potere delle loro Lady Macbeth. Se cedere alla furia della natura è qualcosa che atterrisce il nostro corpo ed il nostro movimento, gli sguardi delle donne devono ora atterrire la nostra mente e la nostra volontà.
Ognuno di noi si ritrova a fissare la mano di una Lady Macbeth ed a seguirne i movimenti ipnotizzato. Di fronte alla volontà della nostra compagna siamo solo delle marionette e possiamo solo seguire quella mano da una parte all’altra della sala. E’ un’esperienza forte e a tratti inquietante, ma fa il suo gioco e nella mia testa tutte le vie d’uscita che potrebbero consentire al Macbeth di rifuggire dal delitto si chiudono sin da quel momento. Macbeth cederà, anzi, ha già ceduto e la sua Lady deve solo decidere come vincere le sue ultime forze.
Ed eccoci quindi ancora con le nostre compagne di corso che ci pressano con la sola parola “sì” mentre a noi è concessa solo la parola “no”, una negazione che possiamo gridare, ribadire o sussurrare ma che è destinata a tramutarsi in un “sì”. Le nostre compagne di corso si alternano ed ognuna decide come vincere il proprio scontro. Io sono pressato in una maniera dolce, giocosa, Lady Macbeth quasi mi danza attorno ed i suoi “sì” sono quelli di una bambina che vuole ottenere qualcosa. Ma il bambino sono io e me ne rendo conto all’ultimo, quando cedere a quella pressione dolce richiede da parte mia una ricerca di contatto. E’ un sì piegato e infantile quello che mi esce dalla bocca mentre sono ginocchia a terra abbracciato alla Lady che nella vittoria non si scompone e risponde all’abbraccio, ma come se fossi un bambino.
Altre Lady decidono di agire diversamente, una piagnucola, un’altra piega il suo uomo con più aggressività ed infine tutti abbiamo ceduto, ed almeno per me cedere è stata quasi una liberazione, la sconfitta del mio Macbeth è solo mettere per iscritto quello che nel mio cuore ho già deciso ma non ho il coraggio di ammettere.
Solo dopo questi esercizi Helga e Fabio ci mettono in mano il testo della giornata ed il conflitto acquista finalmente tutte le sue voci.
Abbiamo ceduto alla forza prima solo con il nostro corpo, poi con il corpo e con lo sguardo, infine anche con il contatto e con un’unica battuta. Ora dobbiamo cedere con le parole, il nostro rifiuto del delitto deve trasformarsi in esaltazione all’omicidio passando attraverso il dubbio, sferzati da donne che ci insultano, ci prendono in giro e poi ci rassicurano. Siamo una torre che si piega sempre più su se stessa, una fortezza pericolante in cui le parole fanno breccia come palle di cannone a minare le fondamenta della nostra risolutezza. Quando crolliamo siamo messi a nudo ed anche se non avremo la forza di guardarci allo specchio per riconoscere in noi sin dall’inizio il germe del male tenderemo la mano all’assediante fra le rovine e celebreremo una nuova unione, forti della sua e della nostra risolutezza.
E’ in questo punto che ho avvertito, definitiva e drammatica, la fusione del Macbeth e della sua Lady in un unico essere. Il protagonista abbandona il singolare ed accoglie il plurale, “andiamo”, “inganniamo” ed il destino di morte è una strada che i due prendono assieme congiungendo le mani. Nessuna speranza per il re, nessuna speranza nemmeno per loro.
Ed irrompe la follia.
L’ultimo monologo di Macbeth che mettiamo in scena ce lo consegna folle e visionario. Immagina pugnali insanguinati attorno a sé ed ogni illusione viene accolta come un presagio, ogni visione allucinata viene da lui trasformata in una spinta sulla china che discende vorticosamente verso l’omicidio. E’ una prova difficile ed ognuno di noi cerca di affrontarla alla sua maniera, la follia finisce con l’essere il fuoco che dà vita alla nostra risolutezza. Tendiamo le mani verso il pugnale che solo noi vediamo, ansimiamo, sgraniamo gli occhi e tutto il lavoro della serata ci corre in aiuto. Siamo stati piegati ma la nostra volontà era già debole, abbiamo celebrato con la nostra Lady la nuova risolutezza ed ora, ad un passo dal crimine, ciò che dovrebbe terrorizzarci aumenta solo la nostra determinazione. E’ ancora la nostra volontà ed ancora una volta attribuiamo il nostro gesto al destino, le allucinazioni diventano presagi e l’assassinio viene giustificato come l’unica alternativa possibile.
Il conflitto si è consumato e si è risolto, siamo stati sconfitti. Ora non resta che l’azione e le sue conseguenze. Stasera stessa avverrà l’omicidio e saremo noi i re, saremo noi sulla cima. Ma una volta che sei arrivato sulla vetta sospinto dalle nere ali dell’assassinio non sei alla fine del viaggio, sei a metà percorso. E dalla cima puoi solamente, rovinosamente, dolorosamente, precipitare.
Terzo giorno di seminario. (13 luglio 2011)
Stasera sono di scena l’azione e la distruzione. Il delitto si compie, la strada per la corona è spianata e libera dall’ultimo ostacolo, ma non sarà più percorsa insieme. Così come la fredda lama d’acciaio stronca la vita di Re Duncan nel sonno, allo stesso modo l’invisibile lama della conseguenza incide una linea di demarcazione fra Macbeth e la sua donna. Mai più insieme, vicini nei corpi eppure distanti nelle loro menti, niente più amore, niente più passione. E’ un addio, e come un addio va vissuto.Helga e Fabio ci concedono un’ultima possibilità, il breve tempo di un saluto alle nostre Lady, un esercizio di cui sin dall’inizio avverto la forza e mi fa vacillare. E’ l’ultima occasione per abbracciare la nostra Lady Macbeth, un contatto in cui dovremo far avvertire tutta la nostra passione ed allo stesso tempo la consapevolezza che potrebbe, anzi è, il nostro ultimo momento insieme. Niente parole, non c’è un testo che ci corre in aiuto per superare questo momento, abbiamo solo la nostra fisicità.
Sono in difficoltà. Accolgo le braccia della mia Lady ed il movimento tradisce il mio turbamento. Mi faccio forza, ci provo e riesco a stringerle debolmente le mani, a sfiorarne i contorni del viso e carezzarle i capelli, infine ad abbracciarla. Nella mia testa mi ripeto che sì, la rivedrò ancora, eppure noi due non ci rivedremo più con questi stessi occhi, con lo sguardo degli amanti e con il tocco della passione. Prendere coscienza di tutto ciò dovrebbe essere per me una rivelazione drammatica e dovrebbe quindi spingermi a cercare di prendere il più possibile da quell’ultimo abbraccio, a chiudere me e la donna che amo in un’armatura di cristallo inespugnabili, vivi eppure immobili come un ricordo salvifico. Non ci sono riuscito, troppo pensare, troppo tergiversare, troppa timidezza.
E’ con sollievo che accolgo il secondo esercizio che si profila quasi come una seconda, ultimissima possibilità. Camminando su di una linea al centro della sala io e la mia Lady dobbiamo raggiungere un piccolo quadrato, una bolla all’interno della quale potremo per l’ultima volta stringerci per poi avviarci l’uno lontana dall’altra, questa volta per sempre.
E’ il Macbeth dei sentimenti, è quello che non va in scena ma accade nell’anima dei due protagonisti che sanno già quale sarà il loro destino ed anche se i loro corpi sono ancora tesi nell’azione e nel terrore che lentamente li sopraffarà le loro anime si incontrano per un’ultima volta.
La mia Lady si aggrappa a me, il suo volto anche nell’addio non abbandona la determinazione della donna glaciale la cui muraglia presto scricchiolerà. Io la cingo, non voglio che cada da quella bolla in cui ci siamo rifugiati, non voglio che mi lasci. Resterei lì, ma non posso. Il nostro è solo l’ultimo incontro al vertice della cima dei nostri destini che ormai hanno concluso la loro ascensione fianco a fianco e si separano. Le nostre mani si tendono mentre il corpo ci conduce lontano e questa volta l’addio è definitivo.
All’interno del quadrato c’è chi approfitta di quell’ultimo momento per la dolcezza, quasi una triste consapevolezza dell’inevitabilità di ciò che sta per accadere e chi prova a ribellarsi al destino ancora una volta facendo resistenza alla separazione. Ma tutti noi alla fine cediamo e da quel momento saremo miserabilmente e definitivamente soli.
I due esercizi sono stati, almeno per me, complessi ed anche faticosi. Ci viene proposta a questo punto una serie di improvvisazioni sul tema del conflitto in chiave attuale. A turno coppie diaboliche condannano a morte vicini di casi, capiufficio e genitori, le suocere per questa volta si salvano. Helga ha scelto bene il momento per questo esercizio, la tensione dalle precedenti performances si allenta, ridiamo e ci rilassiamo mentre ancora una volte le ragazze decidono come vincere la resistenza dei loro compagni.
Subito dopo ci vengono consegnati i testi della giornata.
L’omicidio si sta compiendo in quello stesso momento ed è Lady Macbeth la prima a cedere. E’ una capitolazione al male incosciente dettata dal profilarsi di uno stato d’ansia, di un sobbalzare ad ogni minimo rumore. Non basta negare l’azione che si sta compiendo oltre le porte della camera del Re come se si trattasse di un “lavoro”, non bastano le rassicurazioni sulle premure prese perché il piano riuscisse, il terrore lentamente si fa strada. E quando usciamo dagli appartamenti del re, gli occhi spiritati ed i pugnali ancora grondanti stretti nelle mani, il terrore diveniamo noi. L’atrocità di ciò che si è compiuto parla attraverso il nostro pentimento repentino, compiutosi nell’istante stesso in cui Duncan spirava fra le nostre mani. Ed il vero dramma, per noi, non è la grazia di Dio che ci ha abbandonati ma la consapevolezza che non troveremo salvezza nemmeno nella nostra donna che è già lontana, che già non vediamo più. Non vi è più quel plurale pregno di determinazione, non ascoltiamo più l’altro né lo coinvolgeremo ancora nell’avvicendarsi dei crimini che ci condurranno alla rovina. Siamo soli con la nostra follia.
Precipitiamo.
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