Intanto la penna (o meglio il dito sulla tastiera) di Iacopo non si ferma più, e continua anche il suo di racconto.
Diario di viaggio del seminario sul Macbeth, quarto giorno (14|07|2011)
di Iacopo Landrini
Quarto giorno di seminario. Il viaggio si conclude, restano solo da percorrere gli ultimi metri e saranno i più dolorosi. I due protagonisti ormai conducono vite separate e procedono entrambi sul binario che li porterà alla morte passando per la follia che oramai è la loro unica compagna. Indossiamo a turno i panni di un Macbeth che è al culmine dell’allucinazione. Le sue visioni lo vessano e lo torturano, non gli danno pace e lo seguono ovunque, mute e spietate.
Inizia uno degli esercizi più coinvolgenti di tutto il seminario. Per due volte i miei panni sono quelli della follia, sono una delle visioni di Macbeth e poi una delle voci che solo la sua Lady può ascoltare.
La follia non ha un volto e dietro ad una maschera neutra bracchiamo un Macbeth che non prova nemmeno a resisterci, il suo terrore è un continuo correre, gridare, scartare a destra e sinistra mentre come predatori ci alterniamo in assalti che lo spingono sempre più a fondo, sempre più disperato. La sua resa è rovinosa, si chiude a terra coprendosi la faccia offrendoci il fianco e le nostre braccia si chiudono sopra di lui come un velo di morte, come avvoltoi che banchettano su una carcassa le nostre ali lo racchiudono. E’ ancora vivo, ma è come se fosse morto.
Poi ci trasformiamo in voci, i nostri corpi si eclissano dietro alla benda che Lady Macbeth indossa sugli occhi e siamo il terrore nella sua mente, sussurri insanguinati nelle sue orecchie. La luce di cui lei si circonda non le è di alcun sollievo, la sua colpa è il mondo in cui vive e noi siamo i suoi soli abitanti, rapaci famelici che graffiano i recessi del suo inconscio.
Vessare ed esser vessati ci dà la misura di ciò che ci attende, il secondo incontro di Macbeth con le sorelle fatali ed il folle e ramingo vagare di Lady Macbeth per il castello, condannata a rivivere ogni momento del crimine e tormentata da un sangue sulle sue mani che solo lei può vedere.
Macbeth si rivolge alle streghe come alla sua ultima ancora di salvezza, ha bisogno di sapere, è roso dal sospetto che qualcuno sappia e che la sua colpa verrà presto svelata al mondo. E’ un uomo ormai irrimediabilmente spezzato e le streghe quasi si prendono gioco di lui mostrandogli le schiere dei discendenti di Banquo che diveranno re, una processione silenziosa ed infinita che si conclude nella moltiplicazione di uno specchio, un gesto di scherno verso un Macbeth che già conta uno per uno i re che verranno dopo di lui. La sua voce imperiosa, i suoi imperativi urlati sono quelli di un uomo messo all’angolo ormai capace solo di subire il proprio destino. Macbeth si è spento, esaurito come la fiammella di una candela.
Ed allo stesso modo si è spenta anche la sua Lady che vaga allucinata sotto gli occhi di un medico e di una dama di compagnia. Nulla è rimasto della fierezza e della determinazione di quella donna che anche dopo l’omicidio, già scalfita, cercava ancora di mantenere la presa sulla mente del marito. Di Lady Macbeth resta solamente un fantasma, una figura patetica verso la quale, nonostante tutto ciò che è trascorso, nonostante la crudeltà e la diabolicità, provo istintivamente compassione.
Ma di quello che ho provato per questo personaggio ed anche per gli altri parlerò domani, quando l’ultimo incontro si sarà concluso ed ognuno avrà dato voce al suo Macbeth e la sua Lady.
Perché stasera, dopo quattro giorno densi e impegnativi, tocca a noi. Abbiamo scelto a quale scena dare voce fra quelle che abbiamo studiato. Ho avuto a lungo il dubbio se scegliere un monologo od una scena in cui sono presenti entrambi i protagonisti ed alla fine ho scelto il momento immediatamente successivo all’omicidio. L’immagine di Macbeth che emerge dalla camera del re stringendo i pugnali insanguinati è stata una di quelle che ho trovato più forti e potenti e, forse, una di quelle che nella mia testa sono riuscito a visualizzare meglio di altre. Saremo solo noi questa sera, la rappresentazione è solo per i partecipanti del corso. Mi piacerebbe pensare di poter essere in grado di comunicare il mio Macbeth a chi mi sta guardando, ciò che io ci ho visto, le emozioni che ho provato in ogni scena ed in ogni esercizio e la difficoltà del compito un po’ mi intimorisce ma non abbastanza da levarmi il coraggio di provarci. Forse indugerò un pochino, sicuramente durante la giornata di oggi mi chiederò più volte se non è davvero il caso di passare la palla ad altri, ma poi alla fine salterò. Perché è sempre un salto, perché sotto al palco sai sempre chi sei e là sopra non ne sei mai certo, per avere sulla testa una corona e nel cuore la colpa. E per l’amore di tutto questo.
Ed anche Roberto, un altro protagonista del seminario, ha voluto raccontare le sue sensazioni. Eccole.
Inizia uno degli esercizi più coinvolgenti di tutto il seminario. Per due volte i miei panni sono quelli della follia, sono una delle visioni di Macbeth e poi una delle voci che solo la sua Lady può ascoltare.
La follia non ha un volto e dietro ad una maschera neutra bracchiamo un Macbeth che non prova nemmeno a resisterci, il suo terrore è un continuo correre, gridare, scartare a destra e sinistra mentre come predatori ci alterniamo in assalti che lo spingono sempre più a fondo, sempre più disperato. La sua resa è rovinosa, si chiude a terra coprendosi la faccia offrendoci il fianco e le nostre braccia si chiudono sopra di lui come un velo di morte, come avvoltoi che banchettano su una carcassa le nostre ali lo racchiudono. E’ ancora vivo, ma è come se fosse morto.
Poi ci trasformiamo in voci, i nostri corpi si eclissano dietro alla benda che Lady Macbeth indossa sugli occhi e siamo il terrore nella sua mente, sussurri insanguinati nelle sue orecchie. La luce di cui lei si circonda non le è di alcun sollievo, la sua colpa è il mondo in cui vive e noi siamo i suoi soli abitanti, rapaci famelici che graffiano i recessi del suo inconscio.
Vessare ed esser vessati ci dà la misura di ciò che ci attende, il secondo incontro di Macbeth con le sorelle fatali ed il folle e ramingo vagare di Lady Macbeth per il castello, condannata a rivivere ogni momento del crimine e tormentata da un sangue sulle sue mani che solo lei può vedere.
Macbeth si rivolge alle streghe come alla sua ultima ancora di salvezza, ha bisogno di sapere, è roso dal sospetto che qualcuno sappia e che la sua colpa verrà presto svelata al mondo. E’ un uomo ormai irrimediabilmente spezzato e le streghe quasi si prendono gioco di lui mostrandogli le schiere dei discendenti di Banquo che diveranno re, una processione silenziosa ed infinita che si conclude nella moltiplicazione di uno specchio, un gesto di scherno verso un Macbeth che già conta uno per uno i re che verranno dopo di lui. La sua voce imperiosa, i suoi imperativi urlati sono quelli di un uomo messo all’angolo ormai capace solo di subire il proprio destino. Macbeth si è spento, esaurito come la fiammella di una candela.
Ed allo stesso modo si è spenta anche la sua Lady che vaga allucinata sotto gli occhi di un medico e di una dama di compagnia. Nulla è rimasto della fierezza e della determinazione di quella donna che anche dopo l’omicidio, già scalfita, cercava ancora di mantenere la presa sulla mente del marito. Di Lady Macbeth resta solamente un fantasma, una figura patetica verso la quale, nonostante tutto ciò che è trascorso, nonostante la crudeltà e la diabolicità, provo istintivamente compassione.
Ma di quello che ho provato per questo personaggio ed anche per gli altri parlerò domani, quando l’ultimo incontro si sarà concluso ed ognuno avrà dato voce al suo Macbeth e la sua Lady.
Perché stasera, dopo quattro giorno densi e impegnativi, tocca a noi. Abbiamo scelto a quale scena dare voce fra quelle che abbiamo studiato. Ho avuto a lungo il dubbio se scegliere un monologo od una scena in cui sono presenti entrambi i protagonisti ed alla fine ho scelto il momento immediatamente successivo all’omicidio. L’immagine di Macbeth che emerge dalla camera del re stringendo i pugnali insanguinati è stata una di quelle che ho trovato più forti e potenti e, forse, una di quelle che nella mia testa sono riuscito a visualizzare meglio di altre. Saremo solo noi questa sera, la rappresentazione è solo per i partecipanti del corso. Mi piacerebbe pensare di poter essere in grado di comunicare il mio Macbeth a chi mi sta guardando, ciò che io ci ho visto, le emozioni che ho provato in ogni scena ed in ogni esercizio e la difficoltà del compito un po’ mi intimorisce ma non abbastanza da levarmi il coraggio di provarci. Forse indugerò un pochino, sicuramente durante la giornata di oggi mi chiederò più volte se non è davvero il caso di passare la palla ad altri, ma poi alla fine salterò. Perché è sempre un salto, perché sotto al palco sai sempre chi sei e là sopra non ne sei mai certo, per avere sulla testa una corona e nel cuore la colpa. E per l’amore di tutto questo.
Ed anche Roberto, un altro protagonista del seminario, ha voluto raccontare le sue sensazioni. Eccole.
Roberto Baronciani: Ogni momemento è un approfondimento, una scoperta un evolvere... E' questo quello che mi piace e quello che ho sperimentato. Giocare con le emozioni, cercare di capire come si sentiva e cosa provava in quel fragente Macbeth o Lady... E tutto questa miscela di sensazioni trasportarle dentro la tua pancia, farle salire su nel petto per vibrarle dentro la gola e farle uscire con un fiato di parole magico perchè è tuo! Poter confrontarsi su argomenti di contenuto e riflettere su cosa William voleva trasmettere o cosa non voleva, anche davanti ad una birra, prendendo il puntiglio su come poteva essere interpretato meglio! Grazie che mi avete fatto scoprire tutto questo sempre con la semplicità esaustiva di cui avete il talento! vi voglio bene!
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